Mi chiamo Elisa, vivo a Bruxelles, e sono fortunata perché quest’anno ho rivisto sia Sara, che Daniele, che Dragosh. Alcune delle mie persone preferite nel mondo.
Sara è una ragazza torinese che vive in Francia, e 14 anni fa è stata in Tunisia. Daniele è eporediese e abita a Dublino, nonostante abbia compiuto i suoi 18 anni negli Stati Uniti. E Dragosh viene dalla Romania, stabile in Inghilterra da molti anni, ma considera ancora la Thailandia il suo paese preferito.
Nel 2009-10, mentre loro vivevano in 3 continenti diversi, io stavo scoprendo a mia volta il Brasile. Quattro programmi annuali, quattro lauree con 110 e lode, quattro storie di cervelli in fuga, ma una sola forte amicizia, nata durante la preparazione pre-partenza al Centro Locale di Intercultura di Ivrea.
Dico sempre che la borsa di studio Intercultura è stata il mio trampolino di lancio verso il mondo. Certo, vengo a priori da una famiglia bilingue e biculturale, sono innamorata delle lingue e culture straniere da sempre, ma avere la possibilità di partire a 17 anni e scoprire il mondo con i propri occhi è qualcosa che cambia la vita per sempre.
Mi viene difficile parlare del Brasile dopo così tanti anni, i ricordi e le emozioni si mescolano non poco. Quella volta in cui la mia sorella brasiliana mi aveva confidato di avere una cotta per un mio amico. La merenda a scuola a base di carambola (una frutta tropicale) con i miei compagni. Lo sguardo che ci siamo scambiati io e l’altro studente calabrese al sentire che la discoteca locale si chiamasse “Camorra”. Il Capodanno a Rio de Janeiro con i cugini brasiliani. Il churrasco (barbecue) del papà. L’alba sul Rio delle Amazzoni, pescando piranha con un tedesco, un messicano e una turca.
Alcuni contatti sono rimasti, altri sono svaniti nel tempo, eppure guardo Netflix praticamente solo in portoghese. Non ho mai più avuto occasione di tornare a Blumenau, la città che ho chiamato casa per un anno, tuttavia mi balza il cuore in gola ogni volta che sento parlare portoghese sul tram, attraversando il quartiere latino di Bruxelles. Non ricordo quasi più il gusto della papaya e dei brigadeiros che mangiavamo a colazione, però l’anno scorso mi sono commossa guardando la costa brasiliana dal lato argentino delle Cascate dell’Iguazú.
Quando si dice che Intercultura è una storia per tutta la vita, non si pensa solo e necessariamente all’anno all’estero che uno ha, individualmente, vissuto, ma a tutto un bagaglio di competenze che ha inconsciamente accumulato e di cui si renderà conto solo anni dopo, e a tutta una serie di persone che, anche indirettamente, ha incontrato o incontrerà sulla sua strada.
Io, al ritorno dal Brasile, sono diventata volontaria di Intercultura, mentor di due studenti tailandesi, responsabile invio di centro locale, chaperone di volo. Ho partecipato a tanti campi di arrivo e partenza, alle selezioni e orientations di 4 centri locali, e ho anche scritto la mia tesi su Intercultura e fatto uno stage all’ufficio comunicazione e sviluppo di Intercultura a Milano. Poi, la vita all’estero e il lavoro mi hanno allontanata dall’associazione, ma non per questo sento di doverle dire addio.
Intercultura è viaggiare per il mondo e non sentirsi mai soli, perché di AFSers ce ne sono ovunque.
Intercultura è partecipare ad un evento di Alumni di AFS Belgio e incontrare già alla porta d’ingresso tre persone che avevo incontrato un decennio prima a Roma, Torino e Ivrea.
Intercultura è sentirsi a proprio agio con perfetti sconosciuti, che sconosciuti non sono perché hanno vissuto anche loro l’esperienza AFS – che sia partendo o ospitando uno studente straniere a casa.
Intercultura è casa, è un porto sicuro, è una rete di contatti di una forza soprannaturale.
Grazie, Intercultura.