2 Settembre 2013: compilazione domanda per Intercultura.
22 Settembre 2014: da un mese in Uruguay
Esattamente un anno fa iniziava la mia esperienza con AFS, o forse è iniziata sei anni fa quando
mio fratello ha iniziato a fare test e colloqui per partire per un anno? Beh si, la mia esperienza con
Intercultura è iniziata proprio 6 anni fa, il giorno in cui dei volontari sono venuti a casa per fare
l’intervista alla famiglia, quando hanno preso a raccontare delle loro esperienze come ragazzi
ospitati e come famiglie ospitanti. La voglia di partire cresceva di anno in anno man mano che
crescevo e poi a diminuire ogni chilometro che mi avvicinava alla stanza dove è iniziato tutto: una
sala con circa altri venti ragazzi a fare test psicologici (domande, domande, domande e ancora
domande per tre ore), test di inglese, colloqui con i volontari e giochi per conoscerci tra noi, ragazzi
partiti e che stavano per partire.
Oggi, invece, è esattamente un mese che sono a più di 12000 km da casa, da quello che ho sempre
conosciuto, da una lingua che non avevo problemi a comprendere, dalle persone che nei giorni
prima della mia partenza mi hanno dimostrato un affetto incredibile e che tuttavia, anche grazie alla
superautostrada che è internet continuano a dimostrarmelo su whatsapp o facebook, da una terra che
non mi sembrava poi così bella ma in realtà non è niente male, perché viaggiando si impara che
ogni posto ha la sua caratteristica particolare; ad esempio l’Uruguay ha un cielo stupendo e si
possono passare notti intere ad ammirare stelle che in Italia raramente si vedono; sono lontana dal
paese che giustamente viene denominato la “Patria” del buon cibo. E’ un mese che sono qui e sono
sempre più convinta che è stata la scelta giusta, lo sono da quando alle 7 di sera del 22 Agosto, dopo
16 ore di viaggio e Jet Lag, ho incontrato la mia famiglia nel porto di Montevideo.
L’Uruguay è un paese grosso come metà Italia e con una popolazione che è meno di 10 volte la
italiana; ma che nasconde tanti di quei segreti che non ci si può immaginare. Lo si conosce solo se
ci si immerge completamente nella vita, quando si imparano le abitudini e i costumi, quando si
imparano i modi di dire e il modo di pensare. Come ci hanno spiegato i volontari Uruguayi di AFS
se immaginiamo un paese come un iceberg quello che il mondo vede è solo la superficie non
coperta dall’acqua, ovvero solo un 10%, il restante 90% lo si apprende giorno dopo giorno. Per
esempio l’Uruguay non è solo asado (anche se si mangia tutte le domeniche), calcio (sono
veramente presi dal calcio e seguendo qualsiasi coppa esista al mondo), dulce de leche (lo usano
quasi con ogni cosa, è peggio che la nutella! Però è buonissimo, credo di avere una piccola
dipendenza da sto dolce! Anche se dicono ironicamente che quando torneò in Italia lascerò qua i
miei vestiti per riempire la valigia di 23 kg di dulce de leche, io un pensierino sul farlo veramente
l’ho fatto), mate (lo bevono sempre e ovunque, bere mate con gli amici è un modo per socializzare.
I ragazzi si incontrano nella plaza o nella avenida principale del loro paese per bere mate e
raccontarsi) e infine fiesta, come si pensa di tutto il Sud America, (ogni scusa è buona per
festeggiare ed è vero). L’Uruguay però è anche un mucchio di altre cose… per esempio Alfajores;
nessuna importanza per il tempo (nessun uruguayo arriva in orario per nessun evento, anzi sembra
quasi un’offesa arrivare per l’ora programmata; bisogna presentarsi almeno mezz’ora, un’ora dopo);
un tipo di scuola completamente diverso da quello italiano dove i rapporti tra insegnanti e alunni
sono proprio differenti (gli alunni vanno a trovare i professori nelle loro ore buche e i professori li
ospitano, gli offrono cibo, mate e si siedono con loro a parlare del più e del meno. Non è
assolutamente una mancanza di rispetto scherzare con gli insegnanti anzi preferiscono che si scherzi
e si partecipi in classe ovviamente con discorsi che c’entrano con gli argomenti trattati in classe);
nessuna importanza per quanti soldi tu abbia, anzi a nessuno importano i soldi, a nessuno importa di
avere l’ultimo cellulare uscito o la macchina nuova o ancora meno una casa enorme (normalmente
le case son di un piano, quattro stanze e un “giardino” per parcheggiare la macchina) l’importante è
stare bene fisicamente e soprattutto spiritualmente (i ragazzi organizzano ogni tipo di evento che gli
porti un guadagno per pagarsi la gita dell’ultimo anno di liceo); nessuno viene giudicato se a 17
anni è sposato e con un figlio o se hai 30 anni e non hai né marito né figli, se sei felice e disposto a
parlare con tutti, per la calle, nella plaza o da un cancello all’altro sarai sempre ben visto.
La cosa che mi ha stupito di più in questa prima parte di esperienza è quanto siano attaccati alla
politica, sarà che sono i mesi prima delle elezioni, ma non sono abituata a sentire in classe i
compagni che si mettono a discutere con i professori di politica, di elezioni e di proposte per
migliorare il paese o solo il departamento. Sono un popolo che cerca il progresso ma che in realtà è
molto attaccato alle sue radici, molte persone non accettano per esempio che i matrimoni gay siano
legalizzati, altri non accettano che l’aborto sia legalizzato. Sono un popolo legato alla religione ma
che in realtà è molto simile all’Italia, sono credenti ma raramente vanno in Chiesa (per lo meno i
ragazzi). La gran parte delle cose per funzionare in questo paese devono essere private, lo sono la
salute, le scuole, l’Università, etc. Molti organi di governo subappaltano il lavoro a imprese private
così che sia più facile controllare, e così tutto funziona. Molte persone sono di origine italiana (per
questo gli italiani non necessitano di un visto in Uruguay), il bidello della mia scuola che capisce
l’italiano ma non sa dire una parola mi raccontava in questi giorni che molte città organizzano ogni
mese riunioni per discendenti di italiani, si va per fare conoscenza, per imparare la lingua e per
raccontare storie che restino nella memoria non solo della famiglia ma di molti. Le caratteristiche di
questo popolo sono tantissime e ogni giorno che passo insieme a loro sono sempre più convinta
della scelta che ho fatto, sono sempre più portata a parlare alla gente e sono sempre più contenta di
aver trovato questa piccola parte di mondo.
Spero di scoprire cose ancora più importanti e nascoste che valga la pena di raccontare all’Italia e
soprattutto al Moro, un liceo che un po’ mi manca.
Que le vaya bien esto nuevo año
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